Anello del GRANMONTE da Monteaperta

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Anello del GRANMONTE da Monteaperta (del 21/10/2017)... nell’ultimo giorno delle mie ferie, che si sono svolte in una settimana spettacolare dal punto di vista meteo, non poteva mancare la “ciliegina su una torta” ricca di innumerevoli soddisfazioni e di coronamenti di sogni che già da un po’ giacevano nel cassetto. Il Granmonte, per esempio, era in programma da molto, ma la consapevolezza che il percorso si sarebbe svolto fondamentalmente sul lato sud, ci ha fatto prendere la decisione che l’autunno sarebbe stata la stagione migliore per andarci ed altresì per godere appieno dei magnifici colori tipici del periodo.

Questa catena montuosa è collocata peraltro in una zona che amo particolarmente e, visto che l’autunno è in assoluto la mia stagione preferita, l’associazione delle due cose avrebbe sicuramente dato dei frutti meravigliosi. Come al solito ci siamo adeguatamente documentati sul percorso da effettuare e con dovizia di particolari fissati nella mente (e stampati su cartaceo), siamo partiti verso l’Alta Val Torre, transitando per Tarcento. Abbiamo proseguito fino a Lusevera, per poi continuare verso Micottis, fino ad arrivare a Monteaperta. Qui abbiamo attraversato l’abitato, per trovare parcheggio in fondo al paese, nelle adiacenze della chiesa, proprio laddove saremmo sbucati al termine dell’escursione. Il meteo si presentava grigiastro esattamente alla stessa maniera di come lo avevamo lasciato in pianura, ma qui conferiva al paesaggio, già di per sé delizioso, un aspetto seducente ed assolutamente incantevole.

I colori che permeavano le pendici montuose, erano una tavolozza nelle mani del pittore per eccellenza che è madre natura. Era esattamente come entrare in quello che io definisco il “limbo tra realtà e fantasia” e se,come dice Shakespeare: ~siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni~, ebbene, noi avremmo vissuto la nostra escursione a cavallo tra due mondi imprescindibili uno dall’altro. Con gli zaini in spalla e gli scarponi ai piedi, abbiamo percorso a ritroso un tratto di strada asfaltata da dove eravamo giunti con l’auto, fino ad arrivare presso una delle fontane del paese e dove, nelle cui vicinanze, un segnavia CAI (710) ci indicava la direzione da seguire. Svoltando a destra abbiamo proseguito lungo la rotabile, oltrepassando un’altra fontana e dirigendoci poi verso le ultime abitazioni, dove abbiamo trovato un ulteriore cartello con indicazioni.

Qui sulla sinistra, una piccola scalinata in cemento ci ha introdotti nel sentiero vero e proprio. Inizialmente abbiamo preso quota su un costone sviluppatosi tra bassi arbusti e macchie di ginepro, poi, dopo aver attraversato un minuscolo ruscelletto e qualche piccola radura erbosa, il percorso si è addentrato in un fitto bosco di pino nero. Le piante erano così enormi e maestose che oscuravano l’ambiente conferendogli un aspetto misterioso ed arcano. Erano numerosissime le pigne che, cadute dalle conifere, permeavano letteralmente il terreno ed assieme alle foglie, ai rami spezzati e agli aghi di pino, formavano una composizione naturale che rendeva il luogo davvero scenografico. Anche i deliziosi profumi che permeavano l’atmosfera contribuivano a rendere il momento estremamente gradevole sotto tutti i punti di vista.

Quando siamo usciti dal bosco, ci siamo imbattuti in una zona dominata da ghiaie e detriti, che abbiamo risalito su strette svolte. Oltrepassato questo tratto, ci siamo nuovamente intrufolati nel bosco, riprendendo a risalire costoni erbosi assai ripidi, ma divinamente deliziosi. Eravamo immersi in una natura incontaminata assolutamente meravigliosa e, ulteriore delizia, ci è stata donata dalla presenza di una panciuta salamandra pezzata che passeggiava tranquilla ed indisturbata sul sentiero, camuffandosi perfettamente con il terreno che calpestava. A volte si usciva dal bosco per superare verdissime e rigogliose radure erbose, dipinte di un intenso verde smeraldo, finché non abbiamo superato l’ultimo tratto di bosco per uscire definitivamente all’aperto. La visuale sulle cime che ci attorniavano ci era assolutamente preclusa, perché la foschia si era ulteriormente infittita e contribuiva a farci perdere l’illusione di poter godere dei panorami che, sapevo per certo, essere superbi.

Ma in cuor nostro contavamo sulle previsioni dei meteorologi, che avevano promesso cieli limpidi in quota con la presenza di quel fenomeno atmosferico, che mi rapisce ogni volta l’anima, che è l’inversione termica. Con questa prospettiva nel cuore, abbiamo continuato a salire ripidi pendii erbosi, a volte intervallati da qualche canalino detritico e da roccette. Ad un certo punto ci è parso di sentire delle voci e, ci siamo resi conto della presenza di due giovani escursionisti, solo quando ce li siamo trovati a pochi passi da noi. Essi, sbucando dalla nebbia, scendevano il pendio erboso, cannando un pochino per la ripiditá del sentiero. Ci avevano comunque rassicurati sul fatto che in alto il sole c’era e la notizia ci ha fatti tirare un sospiro di sollievo a noi che le speranze ci stavano abbandonando.

Le ultime centinaia di metri che ci separavano dalla cresta si sono dimostrate su adrenalinici ripidi erbosi, che abbiamo superato quasi senza nemmeno rendercene conto, perché meravigliati dal fatto che ogni metro in altitudine che guadagnavamo, le brume si aprivano, svelando sprazzi di cielo blu cobalto. Eravamo felici come bambini quando, raggiunta la agognata cresta, ci si è palesato uno spettacolo incredibilmente celestiale. Mentre alle nostre spalle, una distesa lattescente si perdeva nell’infinito, davanti a noi, la catena dei Musi era letteralmente tagliata in due: le cime erano nitide e contrastavano nettamente con il cielo azzurro, mentre la base, dopo una prima linea di nubi bianche, fitte ed impenetrabili poco al di sotto della cresta, era velata da una foschia molto più leggera e soffusa che donava mistero alle ripide pendici aggettanti a valle.

Il gruppo del Canin per contro era assolutamente privo di qualsiasi copertura, mentre verso destra e verso sinistra l’inversione termica molto più marcata, tagliava letteralmente in due l’atmosfera, lasciandoci la possibilità di vedere solo ed esclusivamente le cime che sbucavano da distese illimitate di panna montata. Ci siamo a lungo crogiolati sotto il sole a goderci questo meraviglioso spettacolo, finché non siamo stati raggiunti da tre simpatici escursionisti, nei cui occhi brillava la nostra stessa gioia. Anche con loro abbiamo piacevolmente chiacchierato, finché poi non abbiamo proseguito ognuno per la nostra strada, loro infatti sarebbero rientrati a valle verso il Pian dei Ciclamini, il nostro cammino invece sarebbe continuato verso destra a rasentare la lunga cresta.

Penso che camminare in cresta sia una delle esperienze più piacevoli ed entusiasmanti per ogni escursionista, perché si è totalmente ed inesorabilmente a cavallo tra due territori che a volte possono essere completamente diversi tra loro. Noi, in questo caso avevamo sulla destra ripidi, esclusivamente erbosi, che andavano a perdersi nella nebbia, mentre alla nostra sinistra avevamo pendii ricoperti da erba ormai totalmente ingiallita, ma anche arbusti e mano a mano che la quota veniva meno, boschi più o meno fitti che arrivavano fino alla Valle di Musi e alle rive del torrente Mea. Era davvero impressionante come la linea di cresta separasse la vallata di destra, totalmente occupata dal fitto ed impenetrabile grigiume, dalla vallata di sinistra totalmente sgombra e visibile nella sua amenità.

Inizialmente abbiamo camminato su tratto erboso ed assai ampio, ma poi la cresta ha iniziato ad assottigliarsi diventando sempre più intrigante ed adrenalinica. Abbiamo quindi affrontato numerosi saliscendi, percorrendo puntualmente tutto il filo di cresta e prendendo atto, passo dopo passo, che camminavamo lungo uno dei tratti più belli che ci fossero mai capitati. Succedeva a volte di percorrere brevi tragitti davvero esposti, ma subito dopo rientravamo in altri più rassicuranti. Abbiamo così raggiunto la elevazione più alta di tutta questa lunga cresta, ovvero il Monte Brinizza (1636 m), segnalato con un paletto sorretto da un mucchio di pietre e contenitore con libro di vetta. Immancabile la sosta, le foto e le firme sul libro per poi continuare con la nostra escursione.

Abbiamo nuovamente effettuato dei sali e scendi, varcando anche tratti rocciosi a volte scalfiti dal carsismo. Dopo la salita su un’ultima elevazione, su cui peraltro abbiamo consumato il meritato pasto con lo sguardo rivolto verso le Babe (nostra recente conquista), siamo quindi definitivamente scesi verso Sella Kris, dove una enorme e vistosa croce con Cristo stava lì a caratterizzare quello che si è dimostrato praticamente un crocevia. Giunti in questo punto siamo stati sopraffatti dalla nuvolaglia che tentava di approfittare della sella per intrufolarsi e spaziare da una valle all’altra, ma correnti più tenaci e fredde ne contrastavano in tutti i modi l’intento. Anche presso la croce, all’interno di un contenitore in ferro, giaceva un libro per le firme dove, anche noi, abbiamo lasciato traccia del nostro passaggio.

Infreddoliti, abbiamo quindi intrapreso il segnavia CAI 711, svoltando a destra dalla sella ed inoltrandoci su una bellissima, ottimamente conservata e piacevole mulattiera di guerra. Abbiamo perso quota molto lentamente effettuando numerose svolte lungo il versante sud, dapprima prettamente erboso e poi, mano a mano che ci si abbassava, punteggiato da bassi arbusti e qualche pino che delimitavano la mulattiera. Dopo aver percorso innumerevoli tornanti ci siamo immessi in un fitto bosco di noccioli che a volte intersecavano le loro fronde al di sopra delle nostre teste come a formare un tunnel.

Oltrepassata la zona dei noccioli, sempre sulla nostra comodissima mulattiera, ci siamo di nuovo addentrati nel fitto bosco di altissime conifere. Quando abbiamo oltrepassato il greto del Rio Gleria, ci siamo resi conto di essere oramai giunti nelle vicinanze del paese perché avevano iniziato a suonare le campane ed il loro suono rimbombante era più vicino che mai. Abbiamo raggiunto il luogo laddove alla mattina avevamo lasciato l’auto con la consapevolezza di aver compiuto una traversata che ci aveva regalato intense emozioni e ci aveva permesso di essere attori principali in scenari da favola. Avevamo “spuntato” un ennesimo obiettivo che ci eravamo posti ed il meteo ci aveva messo lo “zampino” per rendere più avvincente la nostra avventura. Cartografia Tabacco 026. Dislivello 1200 m. Percorrenza totale, soste comprese, 8 ore.

 
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Fotografie e Itinerario di Rosetta Barbetti

 

  

 

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