Monte Fara

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MONTE FARA dalla Strada Statale della Val Cellina(del 3/11/2017)... il Monte Fara è quella montagna della Val Cellina attraversata dal lungo tunnel che sfocia nella conca di Barcis. Quante volte, transitando per quel “budello” scavato nella roccia, veniva da pensare alla sua morfologia esterna ed alla sua cima. Così, lo scorso anno avevamo provato a salirla per renderci conto di quello che spesso ci aveva sormontato ed inghiottito nelle sue viscere profonde e tenebrose.

Ahimè, però, avevamo “toppato” nella giornata dedicata a tale escursione: un meteo ostile, infatti, ci aveva precluso ogni possibile visuale, non solo del panorama offerto dalla cima, ma anche e soprattutto dei luoghi attraversati dal sentiero. Una fitta ed insidiosa nebbia insistente ed impenetrabile ci aveva di fatto accompagnati durante tutta l’escursione, facendocela reputare come “incompiuta”. È stato proprio questo il motivo a spingerci a ripetere l’intento, approfittando di un meteo clemente, prima delle previsioni pessime che caratterizzeranno i prossimi giorni. Siamo partiti da casa alla volta della Val Cellina, fermandoci a Spilimbergo per un buon caffè rigenerante. Superato Maniago, dirigendoci verso Montereale Valcellina, poco prima della diga di Ravedis, su un comodo spiazzo lungo la statale, alla sinistra rispetto alla nostra direzione di marcia, abbiamo lasciato l’auto.

Esattamente dalla parte opposta della strada, dei segnavia CAI indicavano l’inizio del nostro percorso. Con gli zaini in spalla e gli scarponi ai piedi, abbiamo iniziato a percorrere il sentiero CAI 967 che ci avrebbe portati fino a Forcella Crous. Abbiamo camminato inizialmente lungo un comodo sentiero che, con pendenza gradevole e moderata, ci ha portati a vedere dall’alto la diga e le acque da essa contenute, di un delicato e tenue color verde salvia. Mentre alla nostra destra, scendevano ripidi ghiaioni, capitava che sulla sinistra il sentiero costeggiasse punti più ripidi ed esposti, delimitati da macchie di ginepro ed arbusti dei più disparati.

Il percorso si è poi palesato in una comoda mulattiera lastricata, sulle cui pietre, sporadicamente, comparivano da sotto il leggero strato di foglie, i segni lasciati dalle slitte che anticamente venivano usate per trasportare il più disparato materiale. Ci siamo così addentrati nella pacifica e silenziosa Valle di Sant’Antonio, dove un silenzio assoluto ci ha fatti entrare in perfetta simbiosi con la natura, permettendoci di assaporare ogni attimo di vissuto immersi in questa sorta di Eden.

Eravamo persi ognuno nei nostri pensieri, mentre avanzavamo lentamente e davamo adito alle nostre personali fantasie. Io, in effetti, ero andata a ritroso nel tempo, quando la mulattiera brulicava di vita e il rumore delle slitte che scendevano o salivano, sferzava l’aria con stridori che echeggiavano qua e là rompendo il silenzio della valle. Esse erano cariche di tutto ciò che poteva essere utile alla vita degli umani o degli animali con cui veniva ai tempi condivisa l’esistenza e venivano regolarmente fatte transitare, trainate da quadrupedi stanchi ed affaticati, ma quieti e ligi al loro dovere.

Con queste immagini che prendevano forma nella mia mente e che ogni tanto esternavo a Sandro, siamo quindi sbucati in uno spazio aperto occupato dalla chiesetta di Sant’Antonio, perfettamente ristrutturata e mantenuta, dove il viandante, qualora fosse affaticato, potrebbe fermarsi a riposare e perché no, a meditare e riflettere. Noi abbiamo proseguito dritti, lungo una galleria naturale formata dai numerosissimi noccioli che ne delimitavano i bordi e che intersecavano le loro chiome al di sopra delle nostre teste.

Oltre il sentiero faggi, ippocastani ed altre piante ad alto fusto, ombreggiavano un territorio caratterizzato da grossi massi ricoperti completamente da una spessa coltre di muschio. Camminando praticamente quasi in falsopiano, abbiamo così raggiunto Forcella Crous, il valico che un tempo metteva in comunicazione la Val Cellina con la pianura. Tale forcella è praticamente un crocevia in mezzo alla faggeta e si trova in un luogo suggestivo e ricco di innata magia ed amenità. Qui noi abbiamo decisamente svoltato a sinistra (CAI 983), iniziando a prendere quota su un ripido sentiero in mezzo ad un bosco di faggi. Le foglie cadute al suolo erano così copiose che ad ogni passo affondavamo fino a metà polpaccio, creando nel silenzio che ci attorniava, un rumore costante e sinistro, che veniva trasportato lontano dagli sbuffi di brezza che regolarmente ci avvolgevano. Anche qui il muschio spesso lambiva le basi dei faggi o ricopriva piante oramai decedute ed avviate inesorabilmente nel loro lento processo di decomposizione.

I faggi peraltro, con le loro forme antropomorfe, raccontavano la loro vita, fatta di stenti e difficoltà, ma testimoniavano altresì la loro voglia di imporsi alla vita, guadagnandosela a volte con battaglie fino all’ultimo sangue. Il bosco così assumeva un aspetto misterioso e fiabesco, capace di ospitare le creature magiche che fin dai tempi remoti è risaputo che lo abitano . Prendendo rapidamente quota abbiamo raggiunto il crinale con vista sulla sottostante pianura, addentrandoci in una zona caratterizzata man mano dalla presenza di roccette ed affioramenti rocciosi più o meno consistenti.

Da qualche punto di schiarita erano ben visibili anche il verdeggiante Monte Jouf e poco più lontano il mio amato e meraviglioso Raut, con i suoi severi e ripidi pendii, entrambi vividi ricordi di escursioni passate. Abbiamo continuato a salire lungo il crinale, lambendo a volte una pista forestale, superando qualche piccolo tratto erboso e risalendo qualche gradone roccioso, fino ad uscire in un’ultima e più vasta radura erbosa a ridosso della verdeggiante ed ampia cresta.

Qui voltando lo sguardo verso sinistra, abbiamo intravisto la croce di vetta, che abbiamo raggiunto di lì a poco, deliziandoci dello spettacolo che l’altra volta ci era stato negato. Il panorama, seppur velato da una effimera foschia, spaziava giù lungo la pianura, mentre sugli altri lati ci dava la possibilità di ammirare le vette circostanti, in primis il Raut che spiccava nitido e sovrano sulle altre, pavoneggiandosi altero e maestoso.

Anche se il sole padroneggiava sulla scena, una fastidiosa brezza tentava con testardaggine di raffreddarci, inducendoci a ricoprirci. Dopo aver scattato le foto di rito ed esserci rifocillati, nonché dopo aver firmato il libro di vetta, abbiamo fatto rientro lungo lo stesso percorso dell’andata. L’occhio all’orologio infatti ci incuteva l’obbligo del rientro per una certa ora prestabilita.

Durante la discesa, la presenza del nutrito tappeto di foglie, ci induceva a prestare la massima attenzione a non scivolare rovinosamente a terra e questo fatto ci ha tenuti ben impegnati fino a Forcella Crous. Da lì al punto in cui avevamo lasciato l’auto alla mattina è stata praticamente una passeggiata. Cartografia Tabacco 028. Dislivello complessivo 1000 m. Tempo di percorrenza, soste comprese, 6 ore.

 
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Fotografie e Itinerario di Rosetta Barbetti

  

 

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Commenti   

# Ben descritto ma...Gianni 2022-04-10 11:43
Bello e ben descritto, però manca la traccia, mancano di conseguenza tante informazioni.

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