MONTE CRETA FORATA da Cima Sappada (30/08/2017)... ultimamente sul web abbiamo visto di parecchi escursionisti che sono andati sulla Creta Forata e, soprattutto dopo aver letto la relazione dell'amico Fabrizio Plesnizer, anche a noi è scattata la voglia matta di provarci. Le possibilità di arrivarci erano fondamentalmente due: dalla Val Pesarina o dall'Alto Cadore e noi, come Fabrizio, abbiamo optato per la seconda opzione.
Avevamo come al solito preparato l'occorrente la vigilia, in maniera tale da non perdere tempo prezioso il giorno dell'escursione. Siamo così partiti di buonora verso Sappada, assaporandoci le meravigliose sensazioni che solo lo svegliarsi prima dell'alba e mettersi in moto con il buio e le stelle, danno. Il caffè del "risveglio" durante il viaggio non ce lo siamo assolutamente fatto mancare, così come la sosta nel panificio di Ovaro, perché si sa, come spesso ripeto, che le buone abitudini non vanno mai tralasciate. Dopo aver superato l'abitato di Forni Avoltri ed aver oltrepassato il ponte su di un tranquillo Degano, ci siamo diretti verso Cima Sappada, dove, proprio a ridosso degli impianti di risalita per il Rifugio Monte Siera, in ampio spazio adibito a parcheggio, abbiamo lasciato l'auto.
Prima di iniziare la nostra avventura, abbiamo consumato i panini ai fichi acquistati da poco nel panificio in cui avevamo fatto tappa e così, dopo esserci rifocillati, con zaini in spalla e scarponi ai piedi, abbiamo dato il via alla nostra escursione. Abbiamo iniziato a camminare intraprendendo il sentiero CAI 319 che iniziava proprio nelle vicinanze di dove avevamo lasciato la macchina, inoltrandoci in un bosco di conifere ed incrociando poi una pista forestale che abbiamo seguito per poco tempo. Siamo quindi sbucati a ridosso della pista da sci, che abbiamo iniziato a risalire e vista la ripidità, in breve tempo ci ha fatti arrivare al Rifugio Monte Siera (chiuso).
Il fatto che gli impianti fossero fermi ed il rifugio chiuso, davano all'atmosfera un che di tristezza e di abbandono, che infliggevano nei nostri cuori una certa melanconia. Non fosse stato per lo scampanellio dei campanacci di una mandria di mucche al pascolo a rallegrare l'ambiente, l'aria sarebbe stata piuttosto funesta, nonostante la splendida giornata dal punto di vista meteo. Raggiunto il rifugio, noi abbiamo puntato verso la parete nord della Cima Dieci, e, rimpossessatici dei segnavia CAI (321), abbiamo percorso un sentiero a ridosso di un tratto ghiaioso e in più di qualche punto franato.
Nonostante ciò però, segnavia ed innumerevoli ometti non sono mai venuti a mancare indicandoci la giusta direzione da seguire. Lungo questo percorso, affatto faticoso, regnava sovrano un odore nauseante e marcescente emanato da qualche pianta a cui non abbiamo saputo dare nome, ma che non dava tregua alle nostre narici. Solo quando abbiamo raggiunto una favolosa ed attrezzata cengetta, quell'odore cattivo ci ha dato tregua, perché la stessa fungeva come divisorio tra due ambienti totalmente diversi. Avevamo infatti lasciato un luogo austero di ghiaie, rocce e sfasciumi, per inoltrarci nel verde del bosco di larici, arbusti e rododendri.
Abbiamo dapprima perso quota su piacevole camminamento, per poi riguadagnarla fino a raggiungere un bivio, dove noi abbiamo svoltato a destra per dirigerci verso il Vallone della Creta Forata. Questo luogo si è dimostrato come la classica "valle incantata", dominata da prativi infiniti, a ridosso di pareti dirupate e di ghiaioni. La vista spaziava fino alla Forcella della Creta Forata, lasciandoci meravigliati da tanta bellezza. In questo vasto spazio, svariati larici, perlopiù di giovane età, assieme alle mughe, davano un valore aggiunto all'amenità del luogo, rendendolo ancora più incantevole. Cuccioli di marmotta nel bel mentre si rincorrevano e giocavano allegramente ed indisturbati nei loro spazi infiniti, allontanandosi dalle loro madri che, guardinghe, aspettavano di dare eventuali segnali di allarme.
Eravamo praticamente immersi in una favola in cui noi facevamo di protagonisti principali ed assoluti. Abbiamo proseguito lungo il vallone, tralasciando un primo bivio ed arrivando ad uno ulteriore al di sotto della Forcella di Creta Forata. Qui noi abbiamo svoltato a sinistra, intraprendendo il segnavia CAI 323 e cominciando a prendere quota su sentiero ripido ed essenzialmente ghiaioso e pietroso, fino ad arrivare nei pressi della enorme fascia rocciosa della Creta Forata. Qui seguendo innumerevoli ometti e bolli rossi, abbiamo deviato a sinistra, risalendo placche rocciose più o meno esposte, percorrendo anse ghiaiose, superando salti rocciosi e camminando a ridosso di pareti strapiombanti, fino a raggiungere una selletta tra antecima e cima.
Dalla sella abbiamo svoltato a destra e risalendo un sentiero di ghiaino e roccia, a volte anche leggermente esposto, abbiamo raggiunto la cresta sommitale e la successiva cima. Un ammasso di rocce con un bastoncino telescopico al centro, poco più in là il contenitore del libro di vetta e più avanti ancora la caratteristica croce, hanno definito una cima affatto banale. Purtroppo la visuale sulla Val Pesarina era totalmente preclusa da ingombranti e spesse nubi, mentre la cima e il panorama sul Cadore erano assolutamente soleggiati e godevano di una visibilità spettacolare. Abbiamo consumato il nostro pranzo proprio lì, con la sola compagnia di un gracchio che ci sorvolava con grazia innata.
La pace ed il silenzio impregnavano l'ambiente e permeavano ogni nostra fibra. Si stava d'incanto, si stava divinamente... come in un eden. Dopo le foto di rito e la sosta meditativa e contemplativa, siamo scesi, ricalcando i nostri passi e prestando molta attenzione a dove e come appoggiavamo i piedi fino al bivio in cui avevamo abbandonato il segnavia CAI 321 per il 323, riguadagnando il sentiero dell'arrivo ed il meraviglioso Vallone di Creta Forata. Da qui poi, su terreno molto più agevole, abbiamo raggiunto un ulteriore bivio in cui noi abbiamo svoltato a destra intraprendendo il segnavia CAI 230. Il sentiero dapprima erboso, si è poi praticamente sviluppato tra le fini ghiaie di un impluvio, dove, solo in angusti angoli, si notava la presenza di piccole sorgenti di acqua. Abbiamo camminato quasi in falsopiano fino a raggiungere i ruderi di Casera Geu alta, in un ambiente a dir poco fantastico.
Anche il posto in cui sorgeva la suddetta casera era meraviglioso e il fatto che ormai ci fossero solo i miseri resti di antiche attività bucoliche, rendeva il luogo pregno di suggestione e fascino. È indubbio che su di me i ruderi e la consapevolezza di antiche vite passate realizzate in questi posti, influiscano innegabilmente sulla mia psiche, pronta ad elaborare e realizzare fantasticherie di ogni genere. Dopo aver dedicato il giusto tempo a questo posto, abbiamo continuato la nostra escursione, prendendo quota fino a raggiungere il verdeggiante Passo Geu, dove numerose mucche pascolavano o sonnecchiavano oziosamente ricoperte da fastidiose e fameliche mosche.
Dal passo abbiamo quindi perso quota nel comodo sentiero che man mano si inoltrava nel bosco di larici e rododendri, fino ad arrivare nei pressi di Malga Tuglia. È stato proprio lungo questo percorso che un movimento furtivo ha attirato la mia attenzione: guardinga infatti e con il fiato sospeso, mi sono addentrata nel bosco e mi si è letteralmente accapponata la pelle nel vedere per la prima volta in vita mia un meraviglioso esemplare di gallo cedrone. In realtà devono essere stati due, maschio e femmina, ma io sono riuscita a vedere bene solo il maschio che ho reputato essere grande come un tacchino. Ero estasiata e meravigliata dalla mia esperienza e, con lo stupore negli occhi di un bambino, non riuscivo a capacitarmi della fortuna che avevo avuto.
Da sotto Malga Tuglia, abbiamo quindi svoltato a sinistra, per intraprendere una comoda pista forestale di servizio alla malga stessa e seguendola finché non abbiamo trovato sulla sinistra una indicazione su un abete di segnavia CAI per Cima Sappada. Abbiamo quindi percorso un bellissimo sentiero immerso nell'abetaia che ci ha portati a raggiungere con dei sali-scendi il torrente Geu che abbiamo anche attraversato su comodi e caratteristici ponti in legno. Il sentiero è poi sbucato nuovamente in una ulteriore e lunga pista forestale, sbucata a sua volta esattamente a pochissima distanza dalla strada asfaltata a ridosso del luogo in cui alla mattina avevamo lasciato l'auto.
Proprio nei paraggi del parcheggio, uno scoiattolo fugace quanto bellissimo, ci si è palesato innanzi a noi, come fosse un'espressione di commiato alla piacevole giornata trascorsa. Non potevamo concludere al meglio la nostra avventura, sentivamo chiaramente che la montagna e la natura in generale ci amava. Unico rammarico non aver trovato il famoso foro da cui attinge il suo nome la Creta Forata, pur avendolo cercato. È stata comunque una escursione lunga, appagante, su territori vari e suggestivi. Una esperienza anche stavolta che ha lasciato indubbiamente dei segni nel nostro vissuto e che nei giorni a venire ricorderemo con molto piacere. Cartografia Tabacco 01.
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